Video - Annunziato e le Capre al Pascolo |
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Arrivo al bivio per Verzino e mi imbatto in un gregge di capre, sul loro
sentiero del pascolo. Un cosiddetto pascolo vagante. Sono le caprette
dell’amico Annunziato Croce. Parcheggio l’auto e mi metto a camminare
dietro al gregge. Queste creature pacifiche con la barbetta e le campane
al collo sono tutto il giorno alla ricerca di qualche residuo di verde e
dell'erba rimasta, che in questo periodo scarseggia. Qua e là vedo
capre alzarsi sugli arti posteriori, nel tentativo di poter strappare ai
rami più bassi le ultime foglie. Ciò che non ha portato via il vento
invernale, lo portano via loro.
Il rumore delle campane appese al loro collo è un frastuono piacevole, che rievoca in me dei ricordi molto belli della mia infanzia, vissuta con i nonni e il gregge. E' facile sognare, penso, e mentre sospiro noto che un piccolo capretto dai colori bianco e nero mi fissa. Un soggetto perfetto per uno scatto. E mentre mi sposto insieme al gregge, mi chiedo quanti ne siano rimasti ancora a Campana di pastori. Cioè di quelli che fanno ancora il pagliaio o dormono nel riparo anche durante le stagioni più dure. Con i tempi che corrono, i giovani pastori sono diventati più moderni e magari qualcuno ci prova pure, si reca una volta o due a vedere le capre e dopo rientra a casa nel borgo. Il mondo, i mestieri, le consuetudini e i costumi della società sono in continua evoluzione. Tutto cambia. Tanto tempo fa toccava anche ai bambini dare una mano a spostare un gregge, occuparsi della mungitura e fare il formaggio. Erano tempi davvero duri e noi oggi ci facciamo forse un'idea distorta di questo vecchio mondo. Io ricordo mio nonno che si assentava per molte settimane da casa. Trascorreva il tempo dall'alba al tramonto con le intemperie, insieme al proprio gregge. C’erano le mattinate fredde d'autunno, la brina, la pioggia, i lupi che si aggiravano nei dintorni e i capretti nati nella notte, da accudire e da portare altrove, con le loro madri. Un mondo remoto.
Bene, svuoto la mia testa dai pensieri e mi metto a scattare altre foto. A proposito di pastore - ma l’amico Annunziato, a cui appartiene questo piccolo gregge, dov’è? Mi guardo intorno e mi metto a fare i tipici versi dei pastori, per indirizzare le capre in una certa direzione. Bèh, non mi riescono né i tipici versi che nel gergo si dice “secutare”, e nemmeno indirizzare le capre. Quelle si spostano da sole, e si sparpagliano a destra e a manco, un po’ qua e un po’ là. I miei strani versi da Tarzan però, hanno attirato l’attenzione del vero pastore, l‘amico Annunziato Croce, che con grande preoccupazione spunta dal nulla, dalla boscaglia sottostante. Appena mi riconosce, si rallegra il suo viso. “Dov’eri”? chiedo mentre gli vado incontro. “Ero laggiù nel riparo e stavo aspettando le capre”. “Non ti vedo spesso da queste parti” gli chiedo. “No, non faccio più il pastore a tempo pieno. Adesso ho un altro lavoro che mi impegna. Ma prima o poi ritornerò a fare solo questo mestiere. La mia vera vita è questa“. Così fra due chiacchierate e qualche scatto di foto, viene la sera e dando uno sguardo al cielo, vedo che si addensano le nubi. Il gregge è in attesa per scendere giù al riparo e per essere sistemato nelle reti. Ormai c'è aria di maltempo e di neve, che mi lasciano poche speranze di ritornare ancora una volta, qui in mezzo alla natura, prima di partire. Saluto l’amico Annunziato Croce, augurando a lui e alla sua famiglia le cose più belle ed un buon
avvenire.
Ringrazio gli amici Carlo Grillo e Antonio Grillo e i Calabria Logos, per avermi gentilmente concesso il brano "Nanni nanni" come colonna sonora.
Carmine F. Petrungaro Campanaelefante.com
Le buone Ricotte di Annunziato Croce - Maggio 2007 - E’ una mattina di Aprile. Partiamo in tre da Campana; Michele Migliarese, Giacinto Palopoli e io, Carmine Petrungaro (l’autore del sito Campanaelefante). Le strade sono ancora deserte. Dai bar si sentono le voci farneticanti dei mattinieri che stanno consumando il loro cornetto e caffè, prima di andare a lavoro. Usciamo dal paese e ci dirigiamo verso il Cozzo del Morto. L’aria è limpida e passando dall’Elefante, notiamo in lontananza lo specchio del mare con i primi riflessi del sole. Un ottimo punto per dare segnali verso la costa, alla flotta ancorata, penso. Pirro continua a frullarmi nella testa, mentre sto tarando la macchina fotografica digitale. Svincolandomi dai pensieri all’Antichità greca, ecco che ritorno al presente. Stiamo andando a trovare un pastore, il buon amico Annunziato Croce, che vuole farci vedere come si fa il formaggio e la ricotta. Buon amico, buon marito, buon padre di tre fanciulle con la quarta in arrivo e, buon pastore, che tiene il suo riparo e il gregge di capre sui colli del Cozzo del Morto. La giornata promette bene, cielo azzurro e limpido, anche se ha piovuto per una settimana intera. Quella che a valle è una piccola pioggia, a queste latitudini diventa una vera e propria tempesta di acqua e grandine. La rugiada testimonia che in questo mese le notti sono ancora fredde. La vita per i pastori che vivono sulle montagne è estremamente faticosa. Si vive lontano dal mondo soggetti alle intemperie e in un non lontano passato lo si era anche agli attacchi dei lupi. Con lo sguardo fisso verso i boschi, emergono vecchi ricordi della mia infanzia vissuta in mezzo alle capre e ricordi del mio nonno, anche lui un buon pastore. Dopo 9 km di curve siamo quasi arrivati. Deviamo su un sentiero di terra battuta, poco piano e ancora fangoso dalle ultime piogge. Sfiorando erba e felce, l’auto dondola ed emette un cigolio da carrozza del vecchio Far West.
L’auto disperata si ferma. Siamo arrivati. Notiamo il riparo dei pastore
Annunziato, formato da una base di pietre e terra battuta, con pareti
di legno e il tetto ricoperto di lamiera. Il riparo è circondato da
pinete, querceti e castagneti. Dal camino si innalza un fumo bianco e
lento. E’ tutto molto suggestivo. Sull’ultimo tratto di sentiero ci
corrono incontro due cagnolini con i loro schiamazzi, che ad un tratto
si fermano e ci osservano timidamente, con la testolina e la coda
abbassata. Non ci conoscono. E’ molto comune
Mentre Giacinto estrae un pane indurito da un tascapane a sacco, Michele mi indica i capretti nel recinto accanto. Non ho capito perché il pane, ma intanto scappo per andare a fotografare i capretti nel loro piccolo ricovero, nel quale vengono sistemate le capre al rientro. Mentre mi avvicino al recinto, i tre capretti si voltano verso di me. Sembra che stessero aspettando il taxi. Uno giace a terra e si sonnecchia. Fanno tenerezza a guardarli. Hanno l’aria innocente e spaventata. Mi dico, ecco perché sono diventati il simbolo del cristianesimo. Ma ad un tratto mi chiedo perché sono lì anziché con le loro mamme e il loro gregge, sui sentieri del pascolo? Non mi sembra che siano troppo giovani. Devo pensare allo stomachino essiccato. Questi tre non saranno il prossimo serbatoio di caglio? Speriamo di no.
Più tardi ci avviamo per andare a cercare le capre. Di tanto in tanto ci
fermiamo e ascoltiamo, per cercare di sentire le campane, che le capre
portano al collo. Non si sente nulla. Facciamo più fermate, ma le
capre sembrano essere troppo lontane. “Kine sa dduve sinni sunu
abbissate” dice Annunziato. Così decidiamo di andare a trovare gli amici
del Consorzio Bonifica, che hanno la loro piccola sede nei pressi del
Cozzo del Morto.
Ma questa è un’altra storia...
Ringrazio l'amico Annunziato Croce per avermi gentilmente concesso di filmare il suo riparo e il mondo della pastorizia. Ringrazio pure gli amici Michele Migliarese e Giacinto Palopoli per la gentile collaborazione.
Carmine F. Petrungaro
Campanaelefante.com Il pastore nella mitologia
Un alone di poesia circonda, da tempi immemorabili, i racconti e le
leggende, aventi come protagonisti personaggi ed ambienti del mondo
della pastorizia. Nei dipinti rinascimentali e barocchi i pastori
vengono raffigurati sempre con visi onesti, volti teneri e
fanciulleschi. Le greggi fanno da sfondo a dei sentimenti di pace e
tranquillità che riempiono gli orizzonti e permeano tutto il dipinto.
Molti scrittori, poeti, musicisti e pittori si sono rivolti al mondo
della pastorizia per trarne spunti di serenità, messaggi d’amore per la
Natura e per l’Uomo. Molto suggestiva, infine, la parabola, contenuta
nel Vangelo secondo Matteo, della pecorella smarrita e del buon pastore
che abbandona il gregge per andarla a cercare e salvare. La realtà,
però, é ben diversa da quella sorta di mitologia che avvolge questo
mondo. La descrizione di una vita beata, fonte di gioie e soddisfazioni,
contenuta in libri e testi antichi, riferita ad un’attività, ritenuta a
torto tra le più semplici, non corrisponde alla verità. Essa é, invece,
una delle attività più povere e faticose, caratterizzata da un grande
impegno fisico. Ai sacrifici di una giornata lavorativa che comincia
poche ore dopo che é finita quella precedente, ad una vita di lavoro
iniziata quando gli altri bambini solevano rincorrersi e giocare, ad
un’infanzia e a una fanciullezza negate. A notti passate all’addiaccio
sotto una coperta di stelle, a momenti di paura quando bastava un
ululato per gelare le pareti del cuore, a visi di mogli, di figli non
pienamente goduti e, improvvisamente, cresciuti, non hanno mai
corrisposto quelle gratificazioni che ogni uomo desidera, come suggello
della sua bravura e come premio alla sua fatica. Scrittori e poeti,
tranne alcune eccezioni, ci hanno fatto pensare ai pastori come ad
uomini felici di vivere in mezzo alla Natura. Presso i Greci questa
attività era ritenuta così vicina alla Natura, al cielo e agli dei da
essere oggetto d’invidia. Presso questo stesso popolo c’era l’usanza di
consacrare gli animali alle divinità. Così come il lupo e il cavallo
erano consacrati a Marte, l’aquila a Giove, il pavone a Giunone, la
cerva a Diana, il leone a Vulcano, il corvo e il cigno ad Apollo e la
colomba a Venere, in questo contesto, la pecora era un animale
consacrato alle Furie, forse come contrappasso alla loro inesistente
mansuetudine. Molti racconti mitologici vedono come protagonisti giovani
pastori, amati dalle dee e dalle ninfe per la loro forza e bellezza o
per il suono melodioso dei loro strumenti, essenzialmente a fiato, come
l’ocarina, lo zufolo, la zampogna e il flauto di Pan, una sorta di
zufolo complesso, composto di canne di diversa lunghezza e suono, uniti a
costituire uno strumento di forma triangolare. Anche i Romani ebbero il
loro pastore famoso: Faustolo che salvò, addirittura, il fondatore di
Roma, Romolo, insieme al gemello Remo, nel frattempo allattati dalla
lupa. Meno famosa, ma pur sempre ricordata con simpatia é la moglie di
Faustolo: Acca Laurenzia.
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Errata Corrige - Caro Mimmo,dovresti ...
Equivoco - Gentile Sig. Pomara, inn...
Altro aggiornamento - ..... e ancora ...
Complimenti - Carissimo Carmine, comp...
Aggiornamento calendario - Ciao a tut...
Salve, innanzitutto grazie a voi per...