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La schiavitù a Cerisano nel 1600 Stampa
Scritto da Domenico Canino   
giovedì 02 giugno 2016
 La schiavitù a Cerisano nel 1600 - Quando vediamo i film sulle lotte per l’abolizione della schiavitù in America alla fine del 1800 e la tratta degli schiavi in Africa, gli schiavi trattati come animali nelle piantagioni di cotone, ci sembrano cose lontane da noi. Non è così, l’Italia ha usato gli schiavi “turchi” o “negri” sino al 1800. E mentre l’Inghilterra e la Francia abolivano la schiavitù intorno 1798, gli Spagnoli che governavano il Sud dell’Italia continuarono ancora. In Calabria abbiamo una copiosa documentazione negli atti notarili e nei processi, circa l’uso degli schiavi. Nel 1300 a Mendicino un certo signor Giovanni lasciava nel testamento l’ordine di liberare i suoi schiavi, se ucciso o catturato dai saraceni. 
 
Così il principe di Bisignano, Luigi Sanseverino, per trovare «un paro de’ schiavi boni per servitio della Duchessa» sua moglie, dopo aver fatto invano «molte diligenze» nello stesso regno di Napoli, si rivolse – si era nell’agosto 1626 – al granduca di Toscana Ferdinando II, dicendo che cercava «un paro de bianchi, che sogliono riuscire di miglior condizione». Li preferiva insomma agli schiavi “negri”. In ultimo l’episodio più vicino nel tempo a Cerisano, da parte di una famiglia che a Cosenza non ha bisogno di presentazioni, i Telesio. Infatti fra i beni portati in dote da Clarice Telesio, che nel 1593 sposa a Orazio Sersale Barone di Cerisano, c’era anche una schiava negra, Marina, con un figlio di otto anni (valutati insieme 127 ducati). Una valutazione monetaria molto alta, che fa pensare come questi schiavi importati dall’Africa, con regolari permessi di importazione, fossero molto apprezzati dalla nobiltà di Cosenza e dintorni. In questo caso la schiava Marina venne a vivere a Cerisano con la sua padrona. La schiavitù non è solo un topos lontano nello spazio e nel tempo, riguarda anche noi. Nella foto il cortile di palazzo Sersale a Cerisano, dove vissero Clarice Telesio e la sua schiava Marina.
 
Domenico Canino
 

A cura di Campanaelefante.com
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